Per avere certezza circa un impiego della legna da ardere che non esponga a rischi di contestazioni è utile ricordare che in materia di sicurezza alimentare in ambito europeo si fa sempre riferimento al “pacchetto igiene” (Regolamenti nn. 178/2002 e 852, 853, 854, 882/2004), che detta le linee guida generali, poi recepite a livello nazionale e regionale mediante adozione delle buone prassi igienico sanitarie. La legna deve essere sostanzialmente in ottimo stato, con certificazione dei fornitori circa la provenienza e l’idoneità per l’impiego in ambito alimentare, tesa ad escludere che sia verniciata, trattata o contaminata in alcun modo. Solo tale certificazione mette il titolare del pubblico esercizio al riparo da contestazioni circa il rispetto della normativa sanitaria, o comunque sposta la responsabilità, dal punto di vista civilistico o eventualmente penale, sul fornitore. La mancanza di certificazione, infatti, comporterebbe per il titolare del pubblico esercizio l’esigenza di provare direttamente che la legna sia idonea, che non si tratti di un rifiuto o che addirittura non sia contaminata.
Del resto, sono sempre più frequenti sul territorio nazionale controlli da parte degli organi di vigilanza circa le caratteristiche della legna da ardere utilizzata per i forni a legna delle pizzerie e per i “foconi” delle griglie di cottura in uso presso esercizi pubblici. I controlli sono per la maggior parte incentrati sul rispetto della normativa sull’igiene degli alimenti, ma possono riguardare anche la disciplina dei rifiuti, ed in particolare dei sottoprodotti e dei combustibili, oltre che, sebbene in via indiretta, la rintracciabilità dei biocombustibili legnosi.
E’ bene ricordare che recentemente il Ministero della salute ha affermato che: “non sussistono divieti per l’esercizio di forni a legna, ma solo norme che regolamentano le emissioni in atmosfera. Per i forni a legna il rispetto di tali limiti non richiede l’installazione di sistemi di abbattimento, ma solo l’applicazione di buone pratiche di gestione”.
L’attività di somministrazione di alimenti preparati mediante cottura in forni a legna, in particolare, sembra essere ricompresa tra le attività ad “emissioni poco significative”, per le quali non si deve richiedere autorizzazione ed in particolare : “Cucine, esercizi di ristorazione collettiva, mense, rosticcerie e friggitorie”, oppure “Panetterie, pasticcerie ed affini con un utilizzo complessivo giornaliero di farina non superiore a 300 kg”; oppure, comunque, l’attività sarà ricompresa tra quelle che producono emissioni cosiddette “a ridotto inquinamento atmosferico”, per le quali è richiesta la procedura di autorizzazione in via generale o semplificata, più precisamente: “Panificazione, pasticceria e affini con consumo di farina non superiore a 1500 kg/g”.
Il Regolamento (CE) 29 aprile 2004, n. 852, sull’igiene dei prodotti alimentari stabilisce che gli operatori del settore alimentare (OSA) garantiscono che tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione degli alimenti sottoposte al loro controllo soddisfino i pertinenti requisiti di igiene fissati nel Regolamento medesimo. Il capitolo IX dell’allegato II (Requisiti applicabili ai prodotti alimentari) stabilisce che “un’impresa alimentare non deve accettare materie prime o ingredienti (…) o qualsiasi materiale utilizzato nella trasformazione dei prodotti, se risultano contaminati, o si può ragionevolmente presumere che siano contaminati, da parassiti, microrganismi patogeni o tossici, sostanze decomposte o estranee in misura tale che, anche dopo che l’impresa alimentare ha eseguito in maniera igienica le normali operazioni di cernita e/o le procedure preliminari o di trattamento, il prodotto finale risulti inadatto al consumo umano”. In questi casi la sanzione amministrativa pecuniaria va da 500 a 3.000 euro.
L’art. 5 del Regolamento n. 852 (Analisi dei pericoli e punti critici di controllo), poi, stabilisce che gli operatori del settore alimentare predispongono, attuano e mantengono una o più procedure permanenti, basate sui principi del sistema HACCP. In questo caso la sanzione amministrativa pecuniaria va da 1.000 euro a 6.000 euro.
C’è dunque il rischio che, nel corso di un controllo, al titolare di un esercizio pubblico venga contestata, se ha utilizzato legna da ardere per i forni di cui non è in grado di garantire l’idoneità alla cottura dei cibi (a maggior ragione se non possa garantirne la provenienza), la violazione delle disposizioni di cui al Regolamento CE n. 852 per mancato rispetto dei requisiti generali dei materiali utilizzati nella trasformazione dei prodotti, per la mancata identificazione dei pericoli da prevenire, eliminare o ridurre e per la carente relativa documentazione, con la conseguente applicazione di sanzioni.
E’ vero che si tratterebbe di addebiti non specifici, visto che le norme sanitarie richiamate non prevedono le precise caratteristiche della legna da ardere né l’obbligo di precisarne la provenienza; ma è anche vero che non poter comprovare tali elementi non garantisce dal punto di vista delle conseguenze del contatto tra il materiale e gli alimenti e dunque espone l’impresa a rischi. Per questo motivo è bene che il titolare del pubblico esercizio si munisca di dichiarazione del fornitore inerente la provenienza della legna e la sua idoneità alla cottura di alimenti.
Rifiuti e sottoprodotti utilizzabili come combustibili
La menzione dei residui di potatura tra le materie prime dalle quali può essere ottenuta la legna da ardere ci porta alla trattazione di un secondo rilevante argomento: la disciplina dei rifiuti e dei sottoprodotti. Il Ministero dell’ambiente ha di recente chiarito che il Codice dell’ambiente, esclude ormai dal campo di applicazione “paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.
I residui vengono considerati non più rifiuti, ma sottoprodotti. Oggi, in sintesi, al fine di escludere dal campo di applicazione della normativa in materia di rifiuti i residui delle potature, occorre dimostrare che essi provengano da un’attività agricola, siano costituiti da sostanze naturali non pericolose e siano reimpiegati nel medesimo o in altro ciclo produttivo, agricolo o energetico, assicurando il rispetto delle eventuali norme di settore vigenti (ad esempio, il rispetto della disciplina in materia di combustibili, prevista sempre dal D. Lgs. n. 152/2006).
Il Codice dell’ambiente contiene, l’elenco dei combustibili di cui è consentito l’utilizzo negli impianti che producono emissioni in atmosfera e negli impianti termici civili. Tra questi la legna da ardere, purchè rientri tra materiale vegetale prodotto da coltivazioni dedicate; materiale vegetale prodotto da trattamento esclusivamente meccanico, lavaggio con acqua o essiccazione di coltivazioni agricole non dedicate; materiale vegetale prodotto da interventi selvicolturali, da manutenzione forestale e da potatura; materiale vegetale prodotto dalla lavorazione esclusivamente meccanica e dal trattamento con aria, vapore o acqua anche surriscaldata di legno vergine e costituito da cortecce, segatura, trucioli, chips, refili e tondelli di legno vergine, granulati e cascami di legno vergine, granulati e cascami di sughero vergine, tondelli, non contaminati da inquinanti; materiale vegetale prodotto da trattamento esclusivamente meccanico, lavaggio con acqua o essiccazione di prodotti agricoli.
In definitiva, nei forni a legna dei pubblici esercizi possono essere utilizzati anche i residui di potatura, oltre ad altri residui di materiali legnosi (quali segatura, trucioli, chips, refili e tondelli di legno vergine) esclusi dal campo di attenzione dei rifiuti e che potenzialmente ricadono fra i sottoprodotti utilizzabili per tipologia e provenienza come combustibili. Resta fermo che, anche in questo caso, sarà bene premunirsi di dichiarazione del fornitore che certifichi la provenienza e l’idoneità dei residui per la cottura di cibi, i quali devono rispondere alle caratteristiche previste dal Codice dell’ambiente (ad esempio la sottoposizione a lavaggio o essicazione, atti ad eliminare eventuali agenti chimici relativi ai trattamenti effettuati sulle piante).
Qualora il legno da potatura non possa essere considerato sottoprodotto il rischio è che si applichi l’art. 256, primo comma, del D. Lgs. n. 152/2006, ai sensi del quale chiunque effettua una attività di smaltimento di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione è punito con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da 2600 euro a 26000 euro se si tratta di rifiuti non pericolosi.
Biocombustibili legnosi – Rintracciabilità
Il Regolamento (CE) n. 995/2010, proibisce la commercializzazione di legno o prodotti da esso derivati di provenienza illegale e obbliga gli operatori ad esercitare la dovuta diligenza nella commercializzazione del prodotto. I commercianti che, nell’ambito di un’attività commerciale, vendono o acquistano sul mercato interno legno o prodotti da esso derivati già immessi sul mercato interno devono essere in grado di identificare gli operatori o i commercianti da cui si sono riforniti di legno e prodotti da esso derivati; eventualmente, i commercianti a cui hanno fornito il legno e i prodotti da esso derivati. I controlli, con riferimento a detta materia, spettano al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Autorità nazionale competente che si avvale del Corpo forestale dello Stato.